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I Talibé, bambini fantasma

Storia di povertà, di uomini disonesti che sfruttano una tradizione per approfittare di bambini indifesi. La storia dei Talibé ce la racconta Gianpaolo Gullotta dal Senegal.

Non avrei mai voluto scrivere dei talibè senegalesi, chiamati anche i bambini fantasma, ma gli ultimi mesi vissuti a Dakar me lo impongono, perché ogni giorno che tornavo a casa dal centro Ker Don Bosco, li incontravo, alcune volte mi fermavo con loro, altre volte passavo via veloce. Questa è una delle storie che mi fanno riflettere tanto, non solo su quello che faccio, ma sulla vita stessa.

Talibé in wolof, la lingua parlata prevalentemente in gran parte del Senegal, significa discepolo. I talibé, sono i discepoli delle Darah, scuole coraniche gestite dai Marabout, autorità religiose importantissime nell’islam senegalese. Nelle Darah si insegna a memoria il corano e niente più; c’è un progetto del governo senegalese di Darah moderne, in cui oltre al corano, si possano studiare anche il francese, la matematica, insomma altre materie, ma è un progetto che stenta a decollare.

La prima volta che incontrai i talibé, ero a Kaffrine, paese sperduto in mezzo al Sahel senegalese, e lì mentre ero in un negozio che vendeva cibarie, si affacciano sull’uscio, tre bambini, sporchi, con i vestiti a brandelli e con un caratteristico bugliolo di plastica con cui andavano in giro a mendicare. L’allora mia collega, che li conosceva già, non esitò a comprare dei biscotti ed a porgerli a loro. I tre bambini come una muta di cani, le strapparono dalle mani i biscotti e si dileguarono nella polvere della strada piena di sabbia.

Un altro incontro che non potrò scordare mai, fu nella stazione degli autobus di Kaoulac, città calda ed assolata, che si distende in un acquitrino salato pieno d’immondizia e banchi di sale. Lì mi si avvicinarono dei talibé, uno di loro aveva una grossa ferita sul ginocchio, con addirittura vermi nella carne: non esitai un secondo a donargli dei soldi; gli altri talibè, si avventarono su di me, e poi su di lui, ma io riusci a donargli ugualmente il denaro, allontanando gli altri, cercando di spiegargli in francese, “che lui è malato, ne ha più bisogno”. Ma loro non sembravano capire... infatti molti talibè, la maggior parte, non parlano francese, ma lingue locali, neppure il wolof. Spesso vengono da regioni remote del Senegal, come la Casamance, a sud, oppure la regione di Matam al confine con la Mauritania. Addirittura vi sono talibè che vengono dalla Guinea, dalla Guinea Bissau, oppure dal Mali. Questo fatto è dovuto alle famiglie dell’Africa Occidentale che sono molto numerose, e non posso sfamare tutti i loro figli, quindi se c’è un buon Marabout che può accoglierne uno, verrà sicuramente mandato là, anche se dovesse trovarsi in un’altra nazione. Ora è doveroso fare una precisazione: non tutti i Marabout, utilizzano questi bambini per mendicare e per racimolare ogni giorno denaro da consegnare. Vi sono Marabout che hanno a cuore la sorte dei propri discepoli, e se ne prendono cura. Mentre purtroppo ve ne sono altri che li utilizzano solamente per i propri fini, trattandoli disumanamente; vi sono stati anche alcuni casi di morte. Infatti si utilizzano ancora punizioni corporali o si nega il cibo; vi sono state alcune morti accertate in Senegal di talibè, uccisi a bastonate o morti di stenti.

E’ un problema molto complesso, soprattutto per noi stranieri, che non possiamo sindacare sul sistema delle Darah e dei Marabout, perché le Darah ed i Marabout, sono il Senegal. Si può lavorare assieme ai Marabout per migliorare le condizioni igieniche e legate all’alimentazione dei talibè delle Darah. Si può partire da questo, ma non possiamo dire di chiudere le Darah, perché alcune di esse non rispettano i diritti dell’uomo. Sulla funzione educativa delle Darah, è il Senegal stesso che si deve indignare e attivare per eliminare la mendicità minorile dalle strade, e fortunatamente il governo di Macky Sall, attuale Presidente del Senegal, sta lavorando a ciò, proponendo le Darah moderne e varando una legge che vieta la mendicità minorile per le strade, che purtroppo non viene rispettata. Così Dakar, è piena di talibè che vivono per le strade, mangiano quello che la gente offre loro, o scarti dei ristoranti, come i cani. In questo modo non hanno una corretta alimentazione, anzi è del tutto malsana, perché spesso chi offre loro del cibo, vedendoli bambini, compra caramelle e dolciumi. I talibé non mangiano né verdura, né carne, né pesce.

Durante la tabaski, festa islamica dove si mangia il montone, i talibé che frequentano il Ker Don Bosco si presentarono con i loro buglioli con qualche pezzo di carne cruda. Qualcuno che aveva sgozzato il montone, gli aveva gentilmente donato della carne, ed erano venuti dai salesiani per cercare qualcuno che gliela potesse cuocere... chissà forse era una delle prime volte che potevano assaporare della vera carne. Un altro problema sono i talibé che fuggono dalle Darah, perché iniziano a vivere per strada, in eterna fuga dai Marabout, così vivono di espedienti e nasce anche in loro la voglia di partire, lasciare il Senegal, ritornare a casa propria oppure provare addirittura a lasciare l’Africa.

Ogni volta che a Dakar incontro un talibé per strada, mi prende lo sconforto, bambini a cui hanno rubato l’infanzia, bambini fantasma, di cui nessuno si prende cura, che si azzuffano come cani quando porgi loro del cibo, perché hanno fame, e la fame è una delle cose più brutte. Un giorno entrai in una Darah, era una mattina assolata, un’enorme Darah, alle porte di Kaffrine; a quel tempo lavoravo ad un progetto per la lotta alla malnutrizione infantile, volevo coinvolgere le Darah del paese, perché il primo problema dei talibé è proprio l’alimentazione. La Darah non aveva cucina, delle donne del paese, venivano a turno a cucinare nella sabbia, accendendo un fuoco, e cucinando prevalentemente del miglio bollito, il miglio, quello che noi diamo ai nostri uccellini. Incontrai il Marabout di quella Darah, gli spiegai che volevo costruire una cucina, ed il progetto avrebbe portato anche delle derrate alimentari adatte alla nutrizione dei bambini. Il Marabout mi guardò attonito e assonnato, mentre era disteso sul suo tappeto, poi si alzò mi strinse la mano e disse: “Assolutamente si, la mia prima preoccupazione è sfamare i miei talibé”. E’ da qui che bisogna partire, dai volenterosi Marabout e dalla volontà di garantire il primo diritto essenziale, quello di non morire di fame”.

 

Storia e foto di copertina di Gianpaolo Gullotta, Operatore Vis, Senegal

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