Diamo un calcio al razzismo: sosteniamo l'integrazione!

Oggi è la Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale. Purtroppo episodi di intolleranza e diffidenza verso gli immigrati sono frequenti ed esarcebati nei tratti anche a causa della crescente tensione che si registra in Europa: muri, disinformazione, politiche d'emergenza che non affrontano in  modo strutturale il fenomeno migratorio, sono tutti elementi che non fanno altro se non alimentare "il fuoco". 

Anche per questo crediamo che storie positive come quella che vi raccontiamo oggi, rappresentino l'esempio lampante che non solo una convivenza tra culture diverse è possibile, ma che sia proprio l'accoglienza e l'integrazione ad esserne il punto di forza. In Sicilia, terra fortemente provata dall'aumento esponenziale dei flussi migratori nella rotta del Mediterraneo Centrale, anche per la chiusura della rotta orientale che attraversava Grecia ed Ungheria, ogni giorno sono tanti i minori stranieri non accompagnati che sbarcano e vengono accolti. Non c'è spazio per pensare al colore della pelle, alla confessiore religiosa: sono solo ragazzi e ragazze. Hanno affrontato un lungo viaggio dove hanno rischiato di morire, dve hanno visto morire amici, parenti e compagni di viaggio... chi nel deserto, chi in prigionia, chi inghiottito dal mare. 

Ragazzi come Kwabena, nome inventato per proteggere la sua privacy.

Kwabena nasce in Gambia il 1° Gennaio 1999 ed arrivò in Italia con lo sbarco del 5 dicembre 2015; lo stesso giorno venne affidato alla struttura “Colonia Don Bosco”, gestita da Don Bosco 2000, con cui collabora il VIS. Il ragazzo ha frequentato con grande motivazione e ottimi risultati la scuola, ed oggi è perfettamente integrato nella comunità. Ha vissuto momenti difficili appena arrivato, ma grazie allo staff (insegnanti, psicologi, mediatori culturali, operatori, volontari) ed ai suoi compagni ha re-imparato a sorridere, a sperare nella vita, a pensare al proprio futuro.

Kwabena lascia il Gambia nel febbraio del 2015, attraversando il Senegal, il Mali, il Burkina e il Niger, arrivando in Libia, dove trascorre circa sei mesi. Durante questo periodo lavora nella fattoria di un uomo che gli fornisce solo da mangiare, senza mai pagarlo.

La vita di Kwabena è stata segnata dalla sofferenza e dai maltrattamenti sin dall’infanzia. Orfano di entrambi i genitori, lui e i fratelli vengono affidati ad una signora del villaggio, che li maltratta violentemente. Il ragazzo riporta ancora evidenti segni delle percosse sulle gambe. Spesso la signora non gli dava nemmeno da mangiare, tenendo lui e i suoi fratelli digiuni per giorni e giorni. Così ad un certo punto trova il coraggio di scappare, affrontando il durissimo viaggio che lo ha portato sino qui.

Ha paura di ritornare in Gambia, uno stato che non è mai stato in grado di tutelarlo, né come essere umano né tantomeno come minore.

Il suo più grande desiderio sarebbe avere una famiglia, quella che non ha mai potuto avere fino ad oggi.

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