"La mia Nigeria": il racconto di Anna, volontaria al Don Bosco Health Center

Sono arrivata in Nigeria a Ottobre, poco dopo essermi laureata in psicologia clinica all'Università IUSVE di Venezia. Sono stata improvvisamente travolta ma ben presto affascinata da un Paese così lontano, complesso, grande che ho vissuto, ho respirato, ho amato.

È stato proprio il mio percorso di studi a portarmi in Nigeria. Per i primi sei mesi del tirocinio professionalizzante tra le diverse opportunità c'era Akure, città a sud della Nigeria, nella quale è attiva una realtà salesiana formata da una scuola professionale, una parrocchia, un oratorio ed una clinica ospedaliera. Quest'ultimo, il "Don Bosco Health Centre" è riconosciuto in tutta la città per l'accuratezza dei risultati e per la particolare cura con cui si fa carico dei pazienti.

La clinica affianca ad un servizio di test per il virus HIV il counselling psicologico, che si pone come obiettivo quello di promuovere la conoscenza di questo problema, per poter così incentivare un' informazione corretta e una adeguata prevenzione.

Il 24 ottobre ho iniziato a collaborare con quest'ultimo reparto, chiamato "Heart to heart, we listen, we care". Ho affiancato la responsabile nell'attività di sostegno psicologico, con l'obiettivo di osservare la pratica di colloquio clinico, contestualizzando l'esperienza in una cultura differente rispetto a quella italiana e osservando la realizzazione di interventi mirati a sostenere le persone e le loro famiglie.

I pazienti che arrivano a questo servizio possono essere stati mandati dal medico da un altro ospedale per poter confermare il risultato del test o arrivare in modo del tutto volontario, per conoscere il proprio HIV status.

Generalmente, i test utilizzati richiedono tra i dieci e i quindici minuti per dare il risultato definitivo, tempo utilizzato per dare al paziente alcune conoscenze di base legate a questo virus, in particolar modo riguardanti le modalità di trasmissione ed i principali metodi di prevenzione. Instaurare un rapporto di fiducia con i pazienti è stato a volte difficile, ma fondamentale per poter dare informazioni mirate, e per far capire alla persona che si trovava in uno spazio del tutto protetto, in cui aveva la possibilità di sentirsi libera di chiedere qualsiasi cosa e di porre qualunque domanda. Molto spesso in questi mesi ho sentito ripetere dai responsabili del servizio che la disinformazione uccide più dell'HIV, perché genera lo stigma, porta all'isolamento delle persone, spesso allontanate dalle famiglie per la paura legata al nome. Il grande problema è che si tratta di una paura buia, che si lega a racconti di angoscia e disperazione: HIV significa morte, fine della vita, non più speranza di un futuro, di una famiglia, di un lavoro.

Il "Don Bosco Healt Centre" cerca quindi di affiancare ad un rapido test l'opportunità di liberare lentamente le persone dalla paura data dalla non consapevolezza, dallo stigma che costringe da un lato ad allontanare, dall'altro a nascondersi.

I mesi che ho trascorso mi hanno fatto mettere costantemente in discussione: ho visto uomini mentire alle mogli sieropositive probabilmente contagiate da loro, rifiutandosi di fare il test, preferendo quindi continuare a mettere a rischio la famiglia; ragazze di 15 anni risultate sieropositive e per questo motivo abbandonate dalle donne che le avevano prese in casa come aiuto domestico e lasciate sulle strade; donne, ragazze, che accettavano qualsiasi tipo di rapporto non protetto perché non a conoscenza dei metodi di trasmissione e di possibile, ma non certa, prevenzione.

È per combattere tutto questo che il "Don Bosco Health Centre" ha dato l'avvio al progetto, per promuovere un'efficace informazione, perché la gente comprenda che HIV non è un malocchio, una disgrazia che significa solamente fine della vita: pur sottolineando con accuratezza la gravità del virus, le attenzioni che il paziente deve avere nei confronti della famiglia, del marito e dei figli.

In questi miei mesi di tirocinio ho potuto osservare come accanto a tutto questo era fondamentale affiancare un supporto di tipo morale, mettendosi vicino alla persona, alla donna, al marito o al bambino, facendoli sentire sin da subito non soli, ma iniziando il percorso di accettazione e di cura di sé accompagnati.

Grazie a questo tirocinio ho imparato molto, da un punto di vista professionale e umano. Questo tirocinio mi ha cambiato, mi ha fatto vedere e vivere la normalità dello straordinario, mi ha insegnato a esserci ogni istante, a prendere decisioni.

 Questo tirocinio mi fa scegliere ogni giorno di vivere per davvero, trovando nel quotidiano la mia felicità.

Anna, volontaria al Don Bosco Health Center 

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