La Terra di Nessuno

Durante la prima guerra mondiale lo spazio che divideva due trincee nemiche e contrapposte era denominato “la terra di nessuno”. Uno spazio dove era facilissimo perdere la vita quando si provava ad assaltare la trincea nemica: le mitragliatrici, le bombe ma anche purtroppo i gas erano le principali cause della morte dei soldati. Oggi nel XXI secolo non dovrebbero esistere più questi tipi di non-luoghi, eppure qualcosa di simile alla “terra di nessuno” ancora esiste, sono i campi profughi/rifugiati dove non si muore ovviamente come sul campo di battaglia della prima guerra mondiale, ma si muore lentamente, si muore nell’anima lontani dalla propria casa, dai propri affetti, dimenticati da gran parte del mondo.

Un giorno un giovane salesiano liberiano di nome Cornelius inizia a parlarmi di un suo piccolo progetto che sta portando avanti in un campo profughi liberiano alla periferia di Accra. Ha creato un’associazione studentesca che fornisce supporto e borse di studio ai giovani liberiani del campo profughi che desiderano andare all’università ghanese. Rimango molto sorpreso perché l’ultima guerra civile liberiana fini nel 2003, ben 14 anni fa ed ancora ci sono rifugiati che hanno paura a ritornare nella propria terra per motivi di sicurezza. Il problema della reintegrazione dei rifugiati delle varie guerre in Africa Occidentale rimane uno dei più grandi problemi. Un pomeriggio decido di farmi accompagnare da Cornelius e vedere con i miei occhi il campo profughi ed il suo progetto.

Attraversiamo tutta Accra, città pulita ed assolata, prima di entrare nella polvere attraverso una strada sterrata e dissestata. La strada ci conduce in un piccolo agglomerato urbano con negozi, bar, un piccolo ospedale ed un edificio dell’UNHCR abbandonato ed in rovina. Mi dicono che un tempo c’erano i funzionari dell’ONU, ora non più anche loro hanno abbandonato questa “Terra di Nessuno”. Devo parcheggiare la macchina quasi all’inizio del campo profughi, la strada è talmente dissestata che è impossibile proseguire, così iniziamo assieme a Cornelius una camminata per raggiungere la sede della sua associazione.

Vi è immondizia, vi sono bambini che corrono scalzi con solo qualche straccio addosso rincorrendo qualche bottiglia di plastica vuota che utilizzano a mo di pallone per giocare. Gli odori sono forti e si mescolano a lezzi che provengono dalle acque reflue che scorrono come rivoli, mi chiedo come si possa vivere, crescere e persino morire in un posto come questo. Finalmente arriviamo alla sede dell’associazione, mi aspettavano. Il presidente mi inizia a spiegare il loro progetto e quali sono le attività che stanno portando avanti, ma lo interrompo perché devo andare urgentemente al bagno, ovviamente la sede è sprovvista di servizi igienico-sanitari così un uomo gentile si alza dalla sedia e si offre di accompagnarmi ai bagni pubblici. Continuo così una visita del campo profughi, passo anche vicino alla discarica dove vengono bruciati i rifiuti, che si trova all’interno del campo e non fuori. Mi porta presso i bagni pubblici che vengono gestiti a pagamento altrimenti diverrebbero una fogna a cielo aperto ma non vi è acqua per lavarsi le mani, quindi l’uomo gentile si offre di accompagnarmi a casa sua per lavarmi.

La sua casa sarà di 15 mq, non ha un letto ma solamente un materasso per terra, non vi è acqua corrente né luce e mi fa lavare le mani con dell’acqua che tiene in un secchio. Gli chiedo da quanti anni vive così, mi risponde più di 10 anni. Non può tornare in Liberia ma neanche iniziare una nuova vita in Ghana, non avendo né un’istruzione néi mezzi economici per iniziare un’attività. Mi spiega che quello che fa l’associazione di Cornelius è molto importante perché aiuta i ragazzi nati in questo campo profughi a studiare pagando le rette scolastiche e aiutandoli con un supporto allo studio. È l’unica via per fuggire da qua. Inoltre c’è un altro spettro che incombe sui nuovi nati, l’apolidia. Infatti la legge di nazionalità liberiana è molto particolare, se tuo padre non ti riconosce alla nascita, tua madre non può trasmetterti la nazionalità e quindi rischi di diventare apolide. Per di più se si nasce all’estero non si è liberiano finchè compiuti i 18 anni di età ed entro tale anno, non si fa un giuramento presso l’ambasciata liberiana del paese.

Essere apolide significa non poter frequentare le scuole pubbliche, non avere assistenza sanitaria... Non avere diritti, è come essere un bambino fantasma. Vedo negli occhi dell’uomo gentile rabbia e sofferenza per questa condizione di vita ai margini della società e del mondo. Il tramonto cala come una mannaia sulla mia conscienza e le mie riflessioni, producendo lunghe ombre che nascondono i sogni e le speranze di questa gente. I bambini continuano a giocare, divertiti ed impauriti dalla mia presenza, non sanno cosa vuol dire essere apolide e non conoscono altri luoghi oltre il campo profughi, ancora non devono affrontare queste avversità. Mi congedo dai ragazzi dell’associazione, dall’uomo gentile e con Cornelius ci riavviamo verso la macchina per tornare a casa. In un mondo dove regna il possesso e la proprietà privata, dove tutto è regolato e documentato, ancora esistono non-luoghi dove il perdersi e l’oblio sono le sole regole, come il campo profughi liberiano di Accra, una “terra di nessuno”, dove la desolazione e l’umiliazione dell’essere umano sono presenti come accadeva nelle trincee della prima guerra mondiale.

Gianpaolo Gullotta, VIS Volontariato Internazionale per lo Sviluppo

Share this post