Partire è facile. La storia di Mary, schiava due volte


Partire è facile. Degli uomini ti contattano, all’uscita da scuola e ti offrono la prospettiva di una vita bellissima in Europa, dove tutto è più semplice, dove la povertà non c’è. E tu inizi a sognare, a pensare a quanto sarebbe bello vivere in modo diverso. E accetti, parti. Scappi, senza dire niente alla tua famiglia.

Mary (nome di fantasia) ha solo 17 anni e viene dalla Nigeria. Un anno fa, degli uomini l’hanno convinta a partire, a lasciarsi tutto alle spalle, anche la famiglia, che tuttora non ha mai avuto sue notizie.

Si scappa di notte, in camion stipati di persone, in cui anche respirare diventa un’impresa. Non ci sono né cibo né acqua. Il percorso segue l'antico tragitto carovaniero via Agadez e Dirkou alla volta di Madama, in Niger, per poi entrare in Libia nei pressi del posto frontaliero di Toummo e risalire alla volta dell'oasi di Sebha in direzione di Tripoli. Facile, a dirsi.

IL VIAGGIO E QUELLE VITTIME DIMENTICATE

Il viaggio, però, è tutt’altro che semplice. Dopo un primo tratto in camion, si prosegue a piedi, attraverso il Sahara. Qui, racconta Mary, l’acqua e il cibo continuano a mancare, se non per i trafficanti. Le ragazze svengono e vengono lasciate indietro. Andranno a riempire le fila delle vittime del traffico di esseri umani, senza nemmeno essere riconosciute. Durante il viaggio, i trafficanti abusano delle ragazze: lì non c’è spazio per la pietà umana.

La Libia è una prima destinazione. Ma è proprio a Tripoli che inizia l’inferno. Mary viene stipata in un sotterraneo, insieme ad altre 15 ragazze. Si mangia una volta al giorno. I trafficanti le chiedono se ha i soldi per proseguire il viaggio verso l’Italia ma Mary non ne ha e la famiglia non può inviargliene. Sono poveri e, comunque, non hanno idea di dove sia finita.

Mary, allora, viene portata in un’altra casa. Qui viene costretta a prostituirsi giorno e notte, senza sosta. Le impiantano, senza alcun tipo di anestesia, un chip nel braccio. È un impianto contraccettivo sottocutaneo, serve per evitare che rimanga incinta. Lei, però, non sa nemmeno cosa sia. È solo l’ennesima, infame, violenza.

L'ITALIA E UNA NUOVA SCHIAVITÙ

Dopo due mesi, Mary ha pagato il suo conto, può partire verso l’Italia. Il barcone arriva a in Sicilia, ma anche qui la rete dei trafficanti è presente. La sua vita da schiava non è finita. Viene costretta a prostituirsi a Palermo, sempre e costantemente alla mercé di un padrone che le dice cosa fare e da cui dipende la sua vita.

 
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Posted by StopTratta on Giovedì 12 novembre 2015

Mary sta provando a uscire dal giro, aiutata dalle suore missionarie comboniane della parrocchia di San Niccolò, a Palermo. Sa che non sarà facile. Quando le chiediamo del suo Paese dice, candidamente: “Mi manca”.